A Corio e nelle borgate

A Corio e nelle borgate

2 Targa Stradale Torino

Il 28 giugno 1944 unità corazzate tedesche e repubblichine provenienti dal poligono di artiglieria di San Carlo-San Francesco salirono a Corio con 12 carri armati Tigre, 14 camion carichi di truppa e 2 cannoni semoventi, per un'operazione di rastrellamento.
L’attacco iniziò alle 13: le sentinelle partigiane diedero l’allarme quando i Tigre furono al Ponte Fandaglia, ma le pattuglie avanzate videro sul primo carro armato, legato sopra il cofano, un uomo.
Pochi minuti dopo il Tigre arrivò sotto la postazione del capo squadra che riconobbe l’uomo legato mani e piedi: era il garibaldino Alessandro Bertetto «Paulin» di 36 anni (Nole 7.7.1907) catturato pochi giorni prima dai tedeschi nella frazione Ponte Masino di Nole.
Costretti a difendersi i garibaldini fecero fuoco contro il carro e si narra che, sembrando il Bertetto agonizzante, per alleviarne le sofferenze, un tiratore scelto cecoslovacco gli sparò; ma «Paulin» era già morto, come fu accertato nel tardo pomeriggio quando i nazisti si furono ritirati: era stato squartato e il suo ventre riempito di giornali.
Quando, dopo ore di aspri combattimenti, la colonna tedesca si ritirò, il corpo di Bertetto venne gettato nel fosso all’entrata del paese, all’altezza dell’attuale distributore di carburante. Raccolto dai compagni, «Paulin» venne portato in Santa Croce dove mani pietose gli restituirono dignità prima di consegnarlo ai famigliari.

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Targa in Stradale Torino 1 (600 m)

Denominazione: BARBARO SCUDO UMANO LA SUA CARNE PROFANATA
Località: Stradale Torino 1, Corio
Accessi: All'ingresso del paese arrivando da Torino, in corrispondenza del bivio con la Stradale Rocca.

3 Lapide al Cimitero

Una lapide del 1991 all’esterno del muro di recinzione del cimitero sostituisce la più antica lapide della foto, oggi non più visibile al pubblico perché si trova all’interno dell'area della caserma dei Carabinieri.
Proprio in questo luogo, detto il «prato della fiera», contro il muro di un piccolo ricovero, il 21 aprile 1944 intorno a mezzogiorno vennero fucilati sette giovani partigiani: Pietro Picca Picon (Corio 30.11.1925), Pietro Vianzone (Torino 4.1.1926), Pietro Rolle (Venaria 8.4.1925), Giuseppe Pierotti (Bolsena, VT 24.7.1924), Innocenzo Petriella (Colle Sannita, BN 28.10.1922), Fiore Montesardo (Manduria, TA 16.11.1921) e Martino Barbero (Orbassano 11.11.1919).
Erano stati catturati, a seguito della delazione di una spia, in località Vietti di Coassolo da un drappello di nazifascisti al comando del tenente Aldobrandino Allodi delle SS italiane. Furono poi portati a Corio e torturati sulla Piazza Ettore Molinar (ora Caduti per la Libertà).
Dopo la fucilazione fu dato ordine di seppellirli fuori del cimitero, in una fossa comune, dopo che i corpi erano rimasti esposti per l'intero giorno.
Uno dei fucilati, Martino Barbero, alcuni giorni prima aveva disertato da attendente dello stesso Allodi, che per questo eccidio fu processato nel 1951 dal Tribunale Militare di Torino e condannato all'ergastolo, pena poi ridotta a 19 anni per indulto.
Pare che i prigionieri giunti a Corio non fossero sette ma otto, e che uno sia stato salvato dall’intervento coraggioso di don Allora, il parroco «Barba Giuanin».

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Lapide al Cimitero di Corio (620 m)

Denominazione: ERANO SETTE, ERANO GIOVANI E FORTI E SONO MORTI
Località: Cimitero, via Malone, Corio
Accessi: Dal centro del paese lungo via Malone, oltrepassata la caserma dei Carabinieri.

4 Lapide in Piazza Caduti

Qui si ricordano i nomi di 18 caduti per la libertà trucidati in momenti e luoghi diversi della vallata del Malone. Ad alcuni di essi è anche dedicata una memoria nel luogo del sacrificio, ove questo sia conosciuto; per gli altri, rimasto ignoto il luogo della morte, il ricordo è affidato a questa pietra.
Qui, legati al monumento ad Ettore Molinari, ora posto nei giardinetti di fronte ma che al tempo era fulcro al centro della piazza, furono seviziati e torturati sette giovani partigiani dagli aguzzini nazi-fascisti, ricordati anche da una lapide posta al Cimitero.
Il partigiano e poeta Walter Azzarelli nei suoi ricordi ha scritto di 120 caduti sul territorio di Corio, ma è probabile che vi siano ancora tombe senza nome, resti di corpi celati per sempre dalla terra della montagna.
Quei morti sui monti, partigiani e non, ricordino a noi e alle generazioni future il dramma e il sacrificio di una generazione che ha creduto che la libertà fosse il bene più prezioso di una Nazione e andasse difeso anche a costo della propria vita, affinché potesse realizzarsi l’auspicio dei superstiti: «Non avvenga mai più una cosa così».

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Lapide in Piazza Caduti per la Libertà (630 m)

Denominazione: NON AVVENGA MAI PIÙ UNA COSA COSÌ
Località: Piazza Caduti per la Libertà 54, Corio
Accessi:

5 Lapide a inizio via Colle Secchie

Il giorno 25 novembre 1943, in una improvvisa incursione, elementi della polizia tedesca giunti in paese con un camion uccisero accanto all’attuale piazza Caduti per la Libertà il giovane Domenico Vallero, di 18 anni (S.Maurizio C.se 1925), che fu il primo partigiano a essere ucciso a Corio.
Era qui salito da San Maurizio per cercare di unirsi ai partigiani, non volendo presentarsi alla leva della Repubblica Sociale Italiana, ma non era ancora riuscito a incontrarli.
Arrivato nell’attuale piazza Caduti per la Libertà, fu visto da un tedesco che gli intimò di fermarsi, si inginocchiò, puntò e gli sparò alla schiena, quindi lo raggiunse e lo finì brutalmente.
Il corpo di Vallero fu portato nella chiesa di Santa Croce a Corio e composto da mani pietose.

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Lapide in via Colle Secchie (630 m)

Denominazione: ANCHE ALLE SPALLE GHERMIVA LA MORTE
Località: Inizio di via Colle Secchie, Corio
Accessi: In punta al paese, all'inizio della strada a ovest della rotatoria.

6 Lapide in piazza della Chiesa

Don Giovanni Battista Allora (Riva di Chieri 10.8.1883 – Corio 1.5.1962), laureato in teologia presso la Facoltà di Torino, fu ordinato sacerdote nel 1909. Fu soldato durante la I Guerra mondiale dal 1916 al 1918, infine pievano di Corio dal 25 giugno 1942 fino alla morte all’età di 78 anni.
«Barba Giuanin», come i coriesi lo avrebbero sempre affettuosamente chiamato, in quegli anni si ritrovò a essere l'unico punto di riferimento per i suoi parrocchiani nel paese sconvolto dalla tragedia della guerra civile: un «piccolo Davide» che con sagace umiltà e coraggiosa determinazione, in supplenza dell'autorità civile che si era vigliaccamente eclissata, seppe tenere testa ai nazifascisti scongiurando per almeno tre volte la distruzione del paese.
Don Allora si può ben definire un «prete partigiano», poiché numerose furono le sue azioni di coraggio a difesa della popolazione. Tra le principali:
- il 15 aprile 1944 strappò alla fucilazione tre giovani sospettati da alcuni repubblichini di appartenere a formazioni partigiane;
- il 21 ed il 27 aprile 1944 riuscì a salvare dal plotone d'esecuzione due partigiani catturati;
- il 28 giugno 1944, dopo un drammatico interrogatorio pubblico in piazza durato ore, fu catturato come ostaggio e con altri 24 cittadini venne deportato al Centro fascista di San Carlo, dove tutti furono trattenuti per 11 giorni subendo interrogatori e violenze; ne ritornarono vivi grazie alla sua presenza ferma e determinata;
- il 1° agosto 1944 fu arrestato due volte dai Tedeschi, condotto al Mulino dell'Avvocato dove erano state trovate armi, ne fu ritenuto responsabile come protettore dei partigiani, venne minacciato di fucilazione ed il paese di distruzione; si offeerse allora come vittima, salvando la comunità e il paese.
Tra le sue azioni si ricordano inoltre numerose liberazioni di arrestati, il recupero di deportati alle famiglie, trattative per procrastinare ordini o far cadere minacce sui giovani renitenti, iniziative contro le feroci rappresaglie sulla popolazione e per la restituzione anche di repubblichini, morti o vivi.

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Lapide in piazza della Chiesa (620 m)

Denominazione: PICCOLO DAVIDE CONTRO IL FURORE NAZIFASCISTA
Località: Piazza della Chiesa, Corio
Accessi: La piazza della Chiesa è al centro del paese.

7 Stele in via Coassolo

Sul mezzogiorno del 5 dicembre 1943 il giovane Riccardo Vivarelli, 24 anni (Torino 22.1.1919), venne aggredito e ucciso da un repubblichino, che lo aveva raggiunto in bicicletta.
Il fatto avvenne durante una delle puntate dei nazifascisti, che si ripeterono nelle prime settimane di dicembre, terrorizzando con sparatorie la popolazione di Corio.
Il Vivarelli risiedeva allora a Corio ed era sergente maggiore nel Servizio Sanità dell’ex Esercito Regio. Il movente della sua uccisione e le esatte circostanze della morte non furono mai del tutto chiariti.
Il cadavere venne poi raccolto dal fosso stradale, dove era caduto, portato nella chiesa di Santa Croce a Corio e composto da mani pietose.

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Stele in via Coassolo (650 m)

Denominazione: SALIVA IN AZIONE DI GUERRA NEL NEVOSO MATTINO
Località: Via Coassolo 38, Corio
Accessi: A metà del rettilineo in salita da Corio verso Sant'Antonio.

8 Lapide scuola di Cudine

La lapide ricorda l’eccidio del 17 novembre 1944, consumato tra Case Gallo e il gioco da bocce dell’osteria di Cudine, uno dei fatti più cruenti della guerra partigiana in Piemonte.
Qui 27 partigiani vennero trucidati dai nazifascisti. Sul marmo sono citati 36 nomi, perché si vollero ricordare altre vittime, partigiani e civili, di quel triste giorno. Vi furono poi aggiunti altri due caduti civili, Domenico Vietti di 39 anni e Nicolino Arbezzano di 19 anni, che nella stessa zona erano stati uccisi dai repubblichini addirittura la primavera precedente, il 5 marzo.
L’unica testimonianza oculare del fatto è quella del comandante del gruppo, il brigadiere dei Carabinieri Ferdinando Giambi, che riuscì a salvarsi, testimonianza registrata in un cortometraggio ora nell’Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza di Torino.
Quel venerdì 17 novembre, dal Collegio Salesiano di Lanzo dove aveva sede il presidio del Comando germanico, alle cinque del mattino, al buio, con la complicità probabile di qualche spia, era partito un plotone alla volta di Cudine e case Gallo alla caccia dei partigiani.
Faceva molto freddo e nella notte era caduta una leggera coltre di neve. Nanni Savant Aleina, allora sedicenne, staffetta della 46ª Brigata, fu tra i primi a giungere sul luogo della strage. Ecco il suo racconto:
«[I nazifascisti] partirono di notte per arrivare di giorno [...] verso le 7-7.30. Imboccarono il sentiero che conduce a case Gallo; giunti sul posto uccisero le due sentinelle e circondarono la casa dove alloggiavano i partigiani, il palazzo dell’avvocato Macario Gal. Altri tre o quattro si trovavano in una casa retrostante di nome Ca ‘d Basana; quelli si salvarono, mentre i primi, circa una trentina, condannati a morte, li fecero uscire con le mani alzate e li portarono giù a valle, 150 metri, nel giuoco delle bocce dell’osteria: lì vennero massacrati».
Nel dopoguerra l’ANPI decise di dedicare alla memoria dei partigiani caduti al Cudine non un monumento di bronzo o di marmo, ma un edificio scolastico, che in quel luogo fu effettivamente costruito. Si volle così fare di Cudine una lezione perenne con una scelta nobile per il suo valore morale e per il significato politico e democratico.

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Lapide alla Scuola elementare, Frazione Cudine (790 m)

Denominazione: NERA LA VOCE DELLA SPIA, ROSSO IL SACRIFICIO
Località: Via Coassolo 16, Frazione Cudine
Accessi: Al fondo della borgata a destra, andando verso i Vietti.

9 Lapide cappella di Cudine

Questa lapide ricorda don Antonio Bertola, cappellano di questa borgata negli anni della Resistenza. Don Bertola nacque a Buttigliera d’Asti nel 1878 e fu nominato cappellano militare durante la Grande guerra. Dal 1920 divenne cappellano di Cudine; morì nel 1958.
Insieme a don Giovanni Allora, pievano della parrocchiale del capoluogo, e a don Giuseppe Regis a Piano Audi, don Bertola fu uno di quei religiosi che a Corio si esposero in prima persona e mai fecero mancare la loro incondizionata assistenza e caritatevole benevolenza, anche a rischio della propria vita, nei confronti sia della popolazione sia dei partigiani.
Prete povero fra i poveri, fu probabilmente l’unico testimone oculare del massacro dei ragazzi del Cudine e partecipò alla pietosa ricomposizione dei corpi martoriati, opera che durò alcune ore. Non ne volle mai parlare e portò con sé nella tomba la memoria del feroce scempio.
Nelle parole di Aldo Giardino, comandante partigiano: «A nulla è valso far testimoniare il povero Don Bertola, il quale dovette assistere a questa barbarie con esecuzione finale degli sventurati partigiani. Egli soleva dire che ben poco aveva da narrare, poiché per il povero prete tutto era parole blasfeme, irripetibili e atti inenarrabili… che certe nefandezze non potevano essere giudicate dall’uomo, bensì dal Divino Tribunale».
Don Bertola continuò ad essere un fervente sostenitore della Resistenza sino alla fine dei suoi giorni.

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Lapide alla cappella di Sant'Antonio, Frazione Cudine (790 m)

Denominazione: UNA POVERA TONACA, PATERNO RIFUGIO, TESTIMONE DELLA BARBARIE
Località: Cappella S. Antonio da Padova, via Coassolo, Frazione Cudine
Accessi: Al fondo della borgata a sinistra, andando verso i Vietti.

10 Lapide a Sant'Antonio

La lapide sul lato destro della facciata riporta i nomi di due caduti partigiani, i fratelli di Case Dottora Natale Macario Ban, 20 anni (Corio 21.12.1923) e Giuseppe detto Pietro, 18 anni (Corio 30.04.1926), oltre che del civile Eugenio Garigliet (Corio 14.3.1927).
I due fratelli, figli di contadini, entrambi intraprendenti e giudiziosi, erano impiegati presso la Società Anonima Cave di San Vittore (l'Amiantifera di Balangero), dove Natale, che aveva iniziato a lavorare a 17 anni, era elettricista, poi seguito dal fratello Giuseppe che entrò in azienda come manovale a 15 anni.
Erano l'orgoglio dei genitori, ma la loro vita semplice e operosa cambiò all'improvviso: quando Natale fu richiamato alle armi per essere arruolato nella milizia fascista, decise di licenziarsi per entrare nella 46ª Brigata dei partigiani, seguito anche in quella scelta dal fratello.
Il 17 novembre 1944, a seguito dell’impressionante attacco operato dalle forze nazifasciste su tutto il territorio coriese, cominciando da Cudine al primo mattino, alcuni repubblichini, evidentemente informati da delatori, salirono anche a Case Dottora dove catturarono i due fratelli Macario Ban.
Quindi li fecero scendere verso il paese, deviando poi a Sant’Antonio, forse per unirsi a un secondo drappello di repubblichini che aveva catturato il giovane civile Eugenio Garigliet Brachet, mentre era diretto al lavoro.
Immediatamente, senza alcuna pietà, i tre giovani vennero condannati a morte e trucidati davanti alla cappella. A soli 17 anni, Eugenio Garigliet divenne la vittima più giovane fra le persone uccise a Corio.
Sul lato sinistro della facciata un'altra lapide più recente riporta i nomi di combattenti e civili: il sergente maggiore del Genio di Artiglieria Alberto Ajrò e il frate francescano ex cappellano militare don Eugenio Squizzato, uccisi nei boschi sopra Case Macario, e inoltre i civili Giacomo Davito Moci e Antonio Bria Berter, già invalido di guerra, vittime innocenti cadute tra San Giovanni e Case Minan nella tragica giornata del 17 novembre 1944.

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Lapide alla cappella della Frazione Sant'Antonio (700 m)

Denominazione: ANCORA RAGAZZI, ADULTI NELLA VITA, GUERRIERI NELLA MORTE
Località: Cappella di Strada Cascina S. Antonio, Frazione S. Antonio
Accessi: Salendo da Corio verso Ritornato, poco dopo il termine del rettilineo.

17 Stele a Piano Audi

La stele risale al 1965 ed è un omaggio all’epopea della Resistenza da parte dei partigiani canavesani, nel ventennale della fine della guerra di Liberazione.

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Stele all'ingresso in Piano Audi (890 m)

Denominazione: ORA E SEMPRE RESISTENZA
Località: Davanti al muro di cinta della ex scuola, frazione Piano Audi
Accessi: Salendo da Corio a destra all'ingresso della frazione. Itinerario WK.01

18 Lapide 18ª Brigata Garibaldi

Il 27 giugno 1944 in questa casa, già sede del Comando della 18ª brigata, a seguito di una lunga riunione tra numerosi comandanti partigiani e commissari politici, fu costituita la IV Divisione d’Assalto Garibaldi «Piemonte», di cui venne nominato comandante militare Giovanni Picat Re («Perotti»).
Questa Divisione diventò così la propaggine canavesana delle Brigate Garibaldi, che nel corso dei mesi successivi avrebbe inquadrato numerose Brigate operative a Corio e Piano Audi (la 18ª), a Locana e Noasca (la 54ª), a Chiaves e Coassolo (la 80ª), a Pont e Ronco (la 47ª), ad Alpette (la 50ª, poi 77ª), e a Canischio (la 49ª).
Inoltre fecero parte della IV Divisione anche due Brigate Manovra e numerose squadre d'azione dislocate in pianura: da Volpiano a Chivasso, da Montanaro a Caluso, e fio a Verrua Savoia, con compiti di procacciamento viveri, armi e munizioni e di sabotaggio, imboscate ed attacchi ai presidi nemici.
Piano Audi acquistò quindi in quei mesi un ruolo rilevante perchè destinata a diventare la sede decisionale del movimento di Resistenza delle Brigate Garibaldi del Canavese.
Nella primavera del 1945 fu ancora a Piano Audi che si costituì in questa casa il Comando della III Zona, al quale facevano capo tutte le formazioni partigiane operanti nel Canavese.

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Lapide a Piano Audi sulla casa della Biblioteca Alpina (890 m)

Denominazione: IL CUORE OPERATIVO DELLA RESISTENZA CANAVESANA
Località: Nella frazione Piano Audi, casa della Biblioteca Alpina
Accessi: Poco dopo l'ingresso della frazione, piccola casa sulla sinistra. Itinerario WK.01

19 Lapide cimitero Piano Audi

Il mattino del 22 gennaio 1945 la pattuglia partigiana appostata sopra la frazione del Mulino dell'Avvocato segnalò l’arrivo di 9 camion carichi di truppe fasciste del reggimento «Folgore» e della divisione «Littorio» provenienti da Cirié.
La 18ª Brigata, già informata dell'imminente attacco, ebbe appena il tempo di rafforzare i posti di guardia e di nascondere ogni traccia della presenza partigiana a Piano Audi, per evitare ritorsioni sulla popolazione.
L’ordine del Comando partigiano fu quello di non farsi coinvolgere nella battaglia ma di salire verso postazioni più alte e di assicurarsi la via di ritirata verso Forno, nonostante la neve fosse abbondante e solo pochi partigiani avessero gli sci.
Ma, mentre l'arrivo a Piano Audi delle prime esigue pattuglie d'avanguardia suggeriva al Comando un attacco, l'avvistamento di tre colonne nemiche assai numerose in arrivo dalla valle, fece desistere dal proposito e indusse a uno scollinamento notturno verso Forno e Coassolo.
Il 23 gennaio 1945 al mattino rimaneva in zona soltanto una pattuglia di retroguardia, che venne intercettata mentre si ritirava sulle postazioni più alte.
Due partigiani furono fatti prigionieri: Giuseppe Ferrero («Luciano») di 23 anni (San Maurizio 19.10.1921) e Spirito Piardi («Stalin») di 32 anni (Vallorbe, FR 23.7.1913), mentre un terzo compagno, «Stefano», benchè ferito, riuscì a fuggire.
Il destino dei ribelli era segnato: questa lapide segna il luogo dove vennero fucilati il giorno stesso.
Pare che «Luciano», insignito poi di medaglia d’argento al valor militare, abbia lanciato un funesto presagio ai repubblichini che lo stavano fucilando: «Mi dispiace morire soltanto perché so che fra un mese sarà finita; sappiate però che voi tutti farete la mia stessa fine».

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Lapide al cimitero di Piano Audi (890 m)

Denominazione: «FRA UN MESE SARÀ FINITA… PERÒ…»
Località: Al cimitero della frazione Piano Audi
Accessi: Nel prato sotto la chiesa della frazione. Itinerario WK.01

Steli, targhe e lapidi che si trovano nel paese di Corio e nelle borgate di Sant'Antonio, Cudine e Piano Audi, in memoria dei partigiani e dei civili uccisi tra il 1943 e il 1945.